Il sito italiano sulle sculacciate.

Archivio del forum storico.

La donna che sapeva troppo (JuliaB)

Avviato da JuliaB il 24/09/2012 alle 05:52

La donna che sapeva troppo (JuliaB)

JuliaB (176 post, compleanno non disponibile)

La donna che sapeva troppo
Era la notte del 25 luglio, come si può scordare una notte così, quando anche una città di mare si svuota sotto la brezza estiva? Come si può scordare la data in cui finiscono gli esami del primo anno d'università?
La notte era limpida, piena di stelle, l'odore penetrante del mare e il rumore delle onde sulla battigia mi facevano sentire più sola che mai, quasi abbandonata, in un deserto notturno fatto di fiochi bagliori che provenivano dalle poche finestre illuminate. O forse era la droga che scorreva nelle mie vene giovani, che aumentava la percezione di quelle voci lontane, perse nella notte. Fatto sta che nonostante conoscessi la città come il palmo delle mie mani non ne riconoscevo più le strade, mi sembrava una misteriosa terra straniera. Non so cosa presi, di preciso, ne avevo un vistoso campione nello zaino, ma ebbi quello che si chiama “restrizione della coscienza” e dovetti tornamene a casa in un taxi perché mi ero smarrita nella mia città. Il mondo intorno a me aveva tinte strane, strade conosciute divennero, per un mucchio di ore, un labirinto inestricabile pieno di colori vivaci. Quei fregi e quei putti che adornavano i palazzi antichi e che conoscevo a memoria mi saltavano all'occhio come se fossero ignoti. “Che bella questa città” dissi, tra me e me, contemplando muta tutta quella bellezza che non avevo modo di riconoscere.
Ebbi un fremito mentre imbucavo la chiave nella serratura, al di là di essa Marisa, mi aspettava. Speravo che dormisse, erano le 2 o le tre del mattino, quella donna decisamente sapeva troppo, aveva un modo di capire le cose che mi spaventava. Marisa era un mistero che non riuscivo a spiegarmi.
Che cosa ci faceva una donna di 47 anni in una casa di studentesse?
Lei diceva sempre che le piaceva la vista sul mare e che gli studenti, anche quando indisciplinati sono meglio di tanta altra gente. In fondo che cambia se devi restare in un posto solo 5 o sei mesi?
Marisa era un essere misterioso e paradossale. Un nome del sud per una donna del nord. Alta, robusta e nerboruta ma con seni grossi e materni. Le sue lunghe gambe erano tornite e forti ma si muoveva con tenera lentezza. Era gentile e dolce nonostante la sua stazza e quella laurea in legge che renderebbe chiunque antipatico. Ah ho scordato di dire che quella sua laurea in legge la usava per lavorare in commissariato. Ciò non dimeno, era una donna che aveva vissuto, ed era aperta di mente. Aveva viaggiato in lungo e in largo, conversato con marinai della costa orientale e con cowboys americani. Aveva visto l'interno di carceri russi e gli orfanotrofi dimenticati del Sud Africa. Chiunque avrebbe avuto paura di Marisa perché era una donna forte di corpo e di spirito e sapeva indovinare un po' troppe cose.
Il click nella serratura sembrò più acuto del solito quando aprii la porta, lenta lenta, per non farmi udire...o meglio scoprire. Era ancora sveglia, l'insonne Marisa, avvolta in una vestaglia blue, intenta a farsi una camomilla. Entrai nel corridoio, lemme lemme per non dare nell'occhio. La stanza girava intorno a me, le pillole giravano nello stomaco, e avevo una strana aria che mi suonava nell'orecchio sinistro dandomi l'impulso isterico di cantare e ballare. Appena la scorsi, nell'angolo della cucina, il cuore mi si fermò per un istante per poi saltarmi in petto . La scrutai con la coda dell'occhio e mi sembrò assorta nei suoi pensieri, quindi mi decisi a balbettare un fioco buonasera. Tremavo.
Si accorse di me.
“Ah hey, la vuoi una camomilla?”
Mi fece un ampio sorriso. Scrutai il suo volto in cerca di un indizio. Sapevo che la colpa mi avrebbe tradita. Mi sforzai di risponderle e riuscii solo a balbettare un : “No, grazie.”
Le parole uscirono lente, quasi a stento. Guardai il suo volto, non riuscivo che a vedere che un dettaglio alla volta, gli occhi prima, la bocca dopo, il naso, per ultimo, rimasi colpita da tutti quei minuti dettagli. Le sue sopracciglia si mossero in un cipiglio, vidi quelle sue palpebre dalle ciglia lunghe serrarsi in uno sguardo scrutatore. Mi sembrava un pittore intento ad osservare un'opera d'arte strizzando gli occhi. Riuscii appena a soffocare una risata per l'ilarità estrema di Marisa il pittore di fronte all'opera d'arte. Ma bastò quel poco perché mi vedesse, ansi, mi leggesse l'anima. Il suo sguardo mi passò attraverso fulminandomi.
“Hai una faccia strana.” esclamò, soffermandosi su ogni parola, ansi, su ogni sillaba.
“Che cosa hai preso?” Disse, con mia grande sorpresa. Le erano bastati non più di venti secondi.
Non sapevo che cosa rispondere. Ero troppo drogata per potermi inventare qualcosa.
“Eh... oh...nulla... un po' di birra.” Dissi. Non era una bugia avevo bevuto anche della birra.
Fu allora che dovetti correre al bagno. Feci appena in tempo, o sarebbe stato un disastro. Vomitai e vomitai e quando ebbi finito di vomitare vomitai ancora mentre le piastrelle superluccicanti mi giravano intorno. La sua voce insistente mi chiedeva cosa fosse che avevo preso, ma era solo rumore di fondo indistinto. A fatica mi aggrappai al lavandino per lavarmi i denti e quando alzai lo sguardo la vidi nello specchio: era accanto a me. Le mie mani tremavano vistosamente.
Scosse la testa.
“Entra nella doccia.” mi ordinò.
“Che? Che cosa?” Feci io che a stento mi reggevo sulle gambe.
“Non discutere, entra nella doccia, qualunque cosa sia sfumerà con l'acqua calda.”
La guardai inebetita mentre mi sbottonava la camicia, avevo voglia di darle un pugno nei denti.
“ma come..? Ma che diamine..?” protestai.
“Piantala di fare la bambina” disse, mentre apriva l'acqua.
Devo dire che dopo quella doccia bollente mi sentii molto meglio.
“Forse dovrei chiamare un medico,” minacciò quando mi decisi ad uscire dal bagno.
“Sto bene, grazie tante.” Risposi sarcastica mentre me ne andavo a letto.
Non era finita lì, questo lo sapevo, ma non potevo immaginare quello che avrebbe fatto. Non potevo immaginare che lei sapesse quello che io fossi, prima che io stessa ne fossi a conoscenza. Ancora non capisco come facesse a conoscere i mie scheletri nell'armadio, ma questo, ormai, non ha più importanza.
Ebbi paura quella notte, di quello sguardo intenso che mi penetrava l'anima, temevo la mattina seguente in cui avrei dovuto affrontarla nuovamente. Morfeo mi rapì ugualmente, quella notte, e feci sogni confusi e colorati.
La mattina arrivò presto.
Quando furono le dieci dovetti alzarmi. Andai in bagno, dunque, per un'altra doccia e bevvi un cappuccino. Marisa leggeva un libro seduta comodamente sulla poltrona difronte al balcone. Spensierata canticchiava dondolando a ritmo una muscolosa gamba.
“Buongiorno” dissi, e mi accorsi che la mia voce tremava.
“Buongiorno” rispose placida. Marisa è troppo diretta per tenere il broncio o portare rancore.
“Dobbiamo parlare” Fece alzando lo sguardo dal suo libro e posando gli occhiali da lettura sul tavolino.
“Va bene” dissi fingendomi innocente_ “Di cosa vuoi parlare?”
“Lo sai bene, tesoro, della roba che hai preso ieri notte.” Rispose laconica.
“Ma come...” Feci io giocandomi l'ultima carta. “ Ero solo un po' ubriaca , non mi dire che a te non è mai capitato di...di...” E li mi interruppe, irritata.
“Senti ragazzina, stai offendendo la mia intelligenza. Non crederai mica di prendermi in giro? Io non sono nata ieri, piccola. Sai? Ho 47 anni e tu ne hai 19, i numeri da soli sono a mio vantaggio. Senza nemmeno parlare del fatto che lavoro in un commissariato. Dunque piantala di mentire e se hai ancora qualcosa con te, tirala fuori.”
“Cristo santo Marisa, non ho niente.” feci con voce lagnosa, mentendo ancora, ma con più convinzione. Eppure qualcosa dovette tradirmi. Forse vide le mie pupille dilatarsi o microscopiche goccioline di sudore formarsi sulla mia fronte, o sentì l'odore dell'adrenalina mescolato allo sciampo alla mela. Non so come fece a leggere quella menzogna, ma fatto sta che si alzò di scatto, avanzò rapida verso di me e mi afferrò per un braccio.
“Ora vediamo se hai o non hai qualcosa”_ esclamò attraverso labbra serrate, era chiaramente adirata.
Mi trascinò quasi di peso nella mia stanza. Era una donna solida, non c'era dubbio.
“Allora dov'è?” Insistette, la voce acuta.
Non avevo nulla da dire, me ne stetti immobile lì mentre afferrò lo zaino.
“Scommetto che è qui” Disse sottovoce, come se stesse parlando a se stessa piuttosto che a me.
Con la sua solita mollezza rovesciò lo zaino sul letto. Ed eccole lì tra un mascara un rossetto e delle penne una bustina con 8 pillole. Afferrò quella piccola busta tra le dita come se fosse un piccolo tesoro e le osservò in controluce. “Come pensavo” proferì severa. Scrollò ancora lo zaino ed apparì un piccolo foglio di francobolli colorati. “Ah..” fece sorpresa “anche questi.”
Con la solita mollezza si diresse in cucina dove gettò la droga nello scarico del lavandino.
La osservai silenziosa mentre si sbarazzava del materiale illegale. Il cuore mi batteva più forte che mai. Non avevo alcuna idea di cosa avrebbe potuto fare, ma l'espressione sul suo volto non era per nulla rassicurante. L'acqua scorreva lavando via le pillole e gli acidi. Maledetta donna, tutti quei soldi gettati in uno scarico!
Marisa sembrava calma. E serafica esclamò :“ Non la passi liscia questa volta. E non ho nemmeno voglia di farti la paternale, credo che tu sappia benissimo a cosa vai in contro se prendi quella roba, senza contare che hai portato droga in questa casa.”
“Mi dispiace” dissi, ma erano scuse poco sincere.
“ Ti avevo avvertito che non volevo roba di quel tipo qui dentro o no?”
Era una domanda retorica.
“Va' in camera tua ed aspettami la'. Verrò a darti la tua punizione appena mi calmo.” continuò.
“Che? Come? Di che diavolo stai parlando?”
La sua bocca si allargò in un sorriso luminoso ma bieco. “ Tu hai bisogno di disciplina, ragazza cara. Meriti una sculacciata per quello che hai fatto. Quando avrò finito con te ti passerà completamente la voglia di prendere e trasportare stupefacenti.”
Al suono di quelle parole proferite con tanta sicurezza sbiancai. Provai rabbia nel sentirmi trattata come una bambina. Eppure nella parte più segreta del mio animo di me l'idea di una punizione meritata mi dava una strana eccitazione
“Non ho mica tre anni sai!” risposi, inorridita fino alla nausea. Mi sentivo offesa dalla sua condiscendenza. Non avevo nessuna intenzione di obbedirle, ma Marisa era alta 30 centimetri più di me e pesava il doppio, inoltre lavorava per la polizia. Era futile ignorare la sua autorità.
“Vai in camera tua, avanti.” Comandò ancora una volta.
Andai riluttante nella mia stanza e sedetti sul letto cercando di non pensare a quello che sarebbe accaduto di li a poco. Mi sembrava tutto estremamente ridicolo, ma non avevo affatto voglia di ridere. I minuti scorreva lenti, la stanza più angusta del solito, sembrava stringersi intorno a me. Non riuscivo a fermare i pensieri mentre ascoltavo i rumori provenienti dalla cucina. L'apprensione cresceva in me ... un'eccitazione confusa invadeva le mie membra, avevo le farfalle nello stomaco, e non riuscivo a stare ferma , ma se mi alzavo sentivo le ginocchia di gelatina. Guardai fuori dalla finestra, il sole di luglio si ergeva già alto nel cielo, doveva essere già mezzogiorno.
Ero indispettita all'inverosimile, mi aveva mandata in camera mia per rendere più efficace la punizione, e la cosa stava funzionando alla perfezione.
Tre colpi sull'uscio annunciarono il suo arrivo.
“Avanti.” _ dissi, con tono imbronciato. Ed ella entrò, cauta, calma. Aveva nella mano una spatola di legno. Non avevo alcuna voglia di supplicarla, sarebbe stato comunque inutile. Avrei potuto appellarmi alla sua pietà, ma la situazione era già imbarazzante, infatti sentii il mio volto arrossire.
“Togli i jeans”
“Che cosa?” dissi con un filo di voce, arrossendo ancora di più.
“Avanti” _ Disse. Ma io rimasi immobile, paralizzata dalla vergogna.
“Giù quei jeans, per favore. Affronta la tua punizione con dignità. Non costringermi a strapparti i vestiti di dosso.” proferì seria mentre si sedeva comoda sul letto.
Con lentezza e rassegnazione sbottonai i jeans e li lasciai cadere sul pavimento. Non era neppure cominciata la punizione e già avevo voglia di piangere. Abbassai lo sguardo per non darle a intendere che avevo i lucciconi.
“Assumi la posizione, avanti, sulle mie ginocchia:” disse con un gesto di impazienza.
“Marisa, diamine, ma che ti passa per la testa!” protestai con rabbia. Il sapore dell'umiliazione era dolce-amaro, come quello di una mela troppo matura, quasi marcia.
Mi afferrò per un polso attraendomi a se, e mi sentii cadere sulle sue gambe forti. Respirai l'odore di lavanda che emanava dai suoi vestiti appena stirati. Era l'unica cosa confortante.
“Non puoi farmi questo...” _esclamai, poco convinta, prima che cominciasse a colpirmi.
Cercai di portare una mano dietro la schiena per bloccare i suoi colpi, ma Marisa l'afferro inchiodandomi al suo grembo. Cercai di alzarmi, ma aveva una stretta da lottatore.
Mi mollò una serie di colpi sonori e rapidi. Ero completamente sorpresa da un dolore che non immaginavo così intenso.
Lanciai piccole urla di dolore. Rallentò, allora, cominciando a colpirmi con un ritmo più cadenzato ma sostenuto e implacabile.
“Adesso basta!” Imprecai_ “ne ho avuto abbastanza! Smettila!”
Mi rispose col silenzio continuando a colpire metodica come una monaca in preghiera.
Scalciai, allora, tentando di tirarmi su, ma Marisa sollevo il ginocchio destro e non potei più far leva sul pavimento.
Bam bam bam riecheggiava la stanza. Strinsi i denti.
“Ricordati questo giorno signorina” disse severa, un colpo secco per ogni parola.
“Se decidi di comportarti da bambina irresponsabile sarai trattata da tale, mettitelo bene nella testa.”_ Tuonò, ancora, cadenzando ogni parola con una bruciante sculacciata.
Non avevo la forza di proferir verbo, il dolore delle percosse rapiva il mio corpo correndo nei nervi delle braccia e delle gambe, e imponendomi di urlare,ma non potevo né muovermi, né strillare perché se accennavo a voler fare una delle due cose Marisa infieriva con forza maggiore sulla mia pelle bruciante. La situazione sembrava del tutto al di fuori del mio controllo. Non avevo, dunque, altro sfogo che quello di piangere, in silenzio. Sentivo le lacrime comporsi nei miei occhi, lente.
“Te la sei cercata”_ si giustificò, incalzando con lo stesso ritmo.
Aveva capito che stavo per cedere, non le sarebbe potuto sfuggire, ma non si fermò... non ancora. Marisa era una che andava fino in fondo. Sapeva con certezza matematica che poteva e che doveva fare quanto stava facendo. Sapeva quello che ero, prima che io lo sapessi, sapeva quello che volevo e me lo rendeva prima che avessi il coraggio di chiederlo.
Sentii le lacrime scendermi lungo le guance, e lei continuò imperterrita a colpire ancora ed ancora, fino a farmi scivolare in una dimensione di completa resa, quello stato mentale in cui tutto sembra più chiaro e razionale.
Singhiozzai, allora, e dopo avermi assestato altri quattro o cinque colpi finalmente smise.
Mi ricomposi, celere, con tutta la dignità possibile.
“Non ti hanno mai raccontato” _ disse con un sorriso ironico “che la droga fa male?”
Non risposi, a quell'ultima provocazione.
Julia B

Inviato il 24/09/2012 alle 05:52

Re: La donna che sapeva troppo (JuliaB)

Keith (9219 post, compleanno non disponibile)

Complimenti Julia,
la situazione f/f è classica ma la scrittura è curata e si vede, perché coinvolge, e poi nel titolo c'è anche la citazione a Hitchcock, più di così!
ciao,
Keith

Inviato il 24/09/2012 alle 20:31

Chi eravamo

Nel lontano 2003, quasi 2004 (semicit.), su un forum ospitato da Forumfree, iniziò a formarsi e a svilupparsi il nucleo di una comunità di amanti del genere spanking. Tra alterne vicissitudini, quella comunità crebbe, si trasferì su questo sito e divenne in breve tempo il punto di riferimento in Italia.

Il forum arrivò ad avere decine di sezioni, alcune riservate alle spankee, con esperienze, dibattiti e racconti. Parallelamente vi era una chat IRC, nella quale faceva gli onori di casa (e a volte elargiva sculaccioni) l'indimenticato bot Orbilio.

Erano gli anni dei primi incontri dal vivo, a Milano e a Bologna, tra alcuni dei partecipanti più assidui.

Poi, come per ogni cosa bella, arrivò più o meno lentamente il declino e la fine. Le tecnologie cambiavano rapidamente, i forum lasciavano il posto ai social network, che portarono, col vento della novità, alla grande e inesorabile dispersione di persone, idee e passioni.

Il nostro forum, il nostro amato forum, ormai non più aggiornato (ma ancora molto visitato), cadde vittima di un grave problema tecnico che lo portò, per sempre, offline. Fortunatamente è sopravvissuto il backup del database, con tutti i contenuti intatti, ma la versione pesantemente personalizzata di phpBB non è recuperabile, a meno di sforzi immani. Ma se anche si potesse ripristinare, sarebbe talemnte obsoleto e pieno di problematiche di sicurezza che non potrebbe sopravvivere online più di qualche minuto.

Per ridare vita almeno al prezioso materiale raccolto in tanti anni è nato il museo, versione statica e ridotta del forum. Sono ovviamente rimaste escluse le sezioni private e di servizio del forum, non essendo per il momento possibile ripristinare un controllo degli accessi.

Luca